Simonetta Fadda

Nella mia formazione artistica ho attinto prevalentemente da Fluxus, dall’Internazionale Situazionista e dal punk, tutte scuole di pensiero che hanno sviluppato l’estetica del DIY (Do It Yourself). Di conseguenza, sia nel lavoro col video, sia nel lavoro con le immagini, ho sempre utilizzato tecnologie non professionali, con l’intento di portarle verso direzioni impreviste spesso considerate erronee, ma altamente espressive.

Negli anni Ottanta, all’inizio del mio percorso, mi sono rivolta alle tecnologie video legate alla sorveglianza e ai sistemi TVCC, per progettare installazioni incentrate sulla claustrofobia dei rapporti di valore interni al sistema dell’arte. Negli anni Novanta mi sono appropriata del video hi8 e sono scesa in strada per dare immagine al paesaggio urbano costruito dai gesti e dai comportamenti delle persone.

A un certo punto, ho iniziato a rallentare la mia produzione video, per utilizzare in misura maggiore altre forme d’intervento come le installazioni e il disegno. In questo modo, sono nati i miei progetti incentrati sul rapporto spesso paradossale tra parole e immagini (la mia serie dei REBUS e quella delle PAROLE GENETICAMENTE MODIFICATE) e, più di recente, il progetto di tappeti e arazzi (Rammendi), in cui alcune tecniche tessili ed elementi iconografici della tradizione sarda sono stravolti all’interno di narrazioni che mettono in primo piano gli aspetti irrisolti e nocivi che caratterizzano il nostro presente