Dall’objet trouvé al ready made, al cut-up e al Found Footage, recuperare elementi preesistenti e riportarli a una nuova vita simbolica e reale, cambiandone la funzione, è un gesto estetico ed etico, con connotazioni persino sovversive. Nel mio caso, questo atteggiamento è rivolto in particolare alla tecnologia televisiva in disuso od obsoleta
Appena ho iniziato a esporre il mio lavoro in galleria negli anni Ottanta, mi sono subito saltate agli occhi le contraddizioni e la claustrofobia dei rapporti di valore interni al sistema dell’arte. Contemporaneamente, nella società si stavano insinuando strategie di controllo sempre più pervasive, giustificate dal crescente diffondersi di sensazioni d’insicurezza. Il sistema dell’arte mi appariva come uno specchio al presente di quello che stava diventando la società, al futuro. Così, le mie prime installazioni a circuito chiuso col video, anche quando si risolvono in situazioni apparentemente ludiche, mettono in scena le forme di sorveglianza all’opera nella società e nel sistema dell’arte.
Kit per ricostruire l’installazione L’ARTE DEVE STARE APPESA AL MURO in qualsiasi punto della propria casa, con la possibilità di spostarla a piacimento, secondo l’inclinazione del momento
La bidimensionali dell’immagine si trasforma nella tridimensionalità di una scultura luminosa
Il progetto riguarda i nuovi significati assunti all’interno di Internet da parole d’uso comune. L’idea è nata alla spiaggia, ascoltando i discorsi degli adolescenti intorno a me. Pur capendo perfettamente il senso delle cose che si dicevano, a un certo punto mi sono resa conto che quello parlato da loro era uno slang anomalo, fatto di parole consuete, dotate però di un cripto-significato capace di portare il discorso in direzioni impreviste. In realtà, non poteva nemmeno definirsi uno slang, visto che anche tutti gli adulti (o quasi) lo utilizzano nel momento in cui si trovano a parlare delle loro esperienze su Internet. In questo modo ho scoperto che Internet aveva avuto il potere di creare delle parole clone, le PAROLE GENETICAMENTE MODIFICATE, in tutto e per tutto identiche a parole già esistenti. Le parole clone, però, nei loro impercettibili spostamenti di senso, in definitiva arrivano a svuotare o contraddire i significati tradizionali dei termini preesistenti, trasformando nello stesso tempo la nostra percezione della loro funzione per noi
Il progetto è nato all’inizio del 2020 ed è il risultato dell’incontro tra un antico arazzo sardo rinvenuto in fondo a una cassapanca di mia nonna e la performance femminista creata nel novembre 2019 dal collettivo cileno Las Tesis, per la giornata contro la violenza sulle donne. Queste suggestioni così distanti si sono associate in un progetto di arazzi in lana e cotone che rivisitano la tradizione tessile sarda. L’iconografia di riferimento è quella della coppia intenta nel ballo sardo, un motivo ricorrente delle illustrazioni popolari sarde, composto da un uomo e una donna che si tengono per mano, ripetuti in modo seriale per evocare la circolarità tipica della danza sarda. Per i miei arazzi ho scelto il bianco e nero, mentre la lavorazione tradizionale a cui mi sono affidata è quella chiamata “a pibiones” in lingua sarda, cioè̀ a grappolini. È una tecnica caratterizzata da un ricamo in rilievo su una trama puntinata che funge da sfondo. L’effetto è quasi scultoreo, una specie di bassorilievo di stoffa. Inoltre, i puntini della trama su cui sono tessuti i ricami “a pibiones”, se fissati a lungo, producono un effetto visivo fortemente cinetico, molto simile a quello dello schermo TV privo di immagini dei miei ricordi d’infanzia. Un richiamo importante per me, dal momento che la mia storia di artista è partita da lì, dal video analogico e dalle immagini imperfette e liquide della bassa definizione.
Arazzi realizzati presso il laboratorio tessile artigianale “Medusa” di Marcella Sanna, a Samugheo in Sardegna